giovedì 22 dicembre 2011

Laika: approvato in Consiglio Comunale l'accordo integrativo

CONSIGLIO COMUNALE SAN CASCIANO VAL DI PESA 19 DICEMBRE 2011
ACCORDO INTEGRATIVO DELLA CONVENZIONE URBANISTICA DEL 30.10.2008 TRA IL COMUNE DI SAN CASCIANO VAL DI PESA E LA SOCIETA' LAIKA PER LA REALIZZAZIONE DEL NUOVO COMPLESSO IN LOCALITA' PONTEROTTO

La delibera è stata approvata con il voto favorevole del PD e PDL e il voto contrario di Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista. Assente Futuro Comune e UDC.

Intervento di Lucia Carlesi, capogruppo Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista.

ll cantiere Laika è stato aperto dopo dieci anni di procedure burocratiche che si sarebbero benissimo potute evitare se per il nuovo stabilimento fosse stata individuata fin da subito un'area industriale idonea, anziché terreni agricoli. Rendita immobiliare abbiamo detto e nessuna garanzia per l'occupazione. Infatti ancora oggi le maestranze della Laika lavorano in capannoni insalubri, senza neanche aver avuto la possibilità di utilizzare lo stabilimento di Sambuca, ottenuto anche quello con variante urbanistica ad hoc, mai utilizzato e ora messo in vendita dalla proprietà. Anche la convenzione stipulata fra Laika e Comune non prevede alcun divieto rispetto al cambio di destinazione d'uso dell'immobile, ma solo un impegno dell'azienda.
La falsa area archeologica è l'artificio tramite il quale si consente la costruzione dello stabilimento come da progetto. Sarebbe bastato rivedere la planimetria del capannone, un'operazione di buon senso certo non più complessa della realizzazione del parco archeologico fasullo, per salvare i ritrovamenti, evitando di mettere così in conflitto l'interesse pubblico e la salvaguardia di un patrimonio culturale ed archeologico con la dignità del lavoro e i diritti dei lavoratori.
In modo strumentale si è voluta attribuire a chi difende il territorio e il patrimonio culturale la responsabilità dei ritardi nella realizzazione dello stabilimento Laika, contrapponendo ancora una volta ambiente e lavoro, quando è chiara la responsabilità dell'amministrazione che in 10 anni non ha saputo dare una risposta concreta a questo problema
E di fronte a quella che noi riteniamo un'operazione di rendita immobiliare della multinazionale, l'amministrazione di San Casciano ha investito proprie risorse per un progetto di rimozione e ricollocazione dei reperti, che a nostro avviso non rappresenta l'interesse pubblico, e lo ha fatto senza neanche dichiarare l'impegno economico a cui dovrà far fronte per vari anni.
Questo abbiamo affermato nel nostro odg del 29 settembre nonostante l'attacco condiviso in modo bipartisan da centro sinistra, centro destra e lista civica.
Adesso, dopo la ratifica dell'accordo stipulato ad ottobre fra comune di San Casciano, Soprintendenza, Ministero, Regione Toscana e Laika, il consiglio comunale di San Casciano è chiamato a deliberare sull'integrazione alla convenzione Laika del 2008 per adeguare la convenzione stessa al progetto di rimozione e ricollocazione dei reperti etruschi e romani rinvenuti a Ponterotto.
Facciamo alcune considerazioni politiche in merito, fermo restando la nostra posizione contraria:
  1. Soltanto oggi viene comunicato al consiglio la quantificazione della spesa e si indicano le modalità di copertura attraverso un'integrazione della convenzione
  2. Riteniamo invece che fosse competenza del consiglio comunale esprimersi preventivamente su spese che impegnano i bilanci per gli esercizi successivi
  3. Il fatto che ora tramite l'approvazione della convenzione si faccia questo passaggio in consiglio rende chiaro che i nostri dubbi e le nostre perplessità erano fondate. Se per assurdo oggi questa convenzione non fosse approvata dal consiglio, si aprirebbe una grave contraddizione rispetto all'accordo stipulato ad ottobre
  4. L'amministrazione si impegna per 100 mila euro, cifra che Laika anticipa e il comune si impegna a restituire in 10 anni. Sarebbe stato ragionevole e opportuno che il privato si assumesse l'intero onere dell'intervento, visto che i vantaggi li ha ottenuti tutti. Si interviene su un bene pubblico (i ritrovamenti) rinvenuti su area privata e anziché adeguare l'intervento edificatorio (cosa fattibilissima) si è scelta la strada della rimozione e ricollocazione che a nostro parere non può essere definita valorizzazione. I reperti vengono rimossi per consentire l'intervento inamovibile del privato e dobbiamo anche pagare per consentirlo.
Come abbiamo già sostenuto sulla base di autorevoli pareri tecnici, se i reperti sono rilevanti è assurdo pensare ad una rimozione; i ritrovamenti dovrebbero rimanere nella loro sede, il progetto del privato si adegua e allora sarebbe evidente l'interesse pubblico rispetto alla valorizzazione di un'autentica area archeologica. Invece il progetto presentato e la rimozione dei reperti determina vantaggi solo per il privato; in questo contesto ci saremmo aspettati che questo privato si facesse carico interamente dei costi, minimi se si pensa agli ingenti fondi pubblici di cui Laika ha beneficiato.100 mila euro rappresentano mediamente il costo di un camper e mezzo, com'è possibile non aver ottenuto nella contrattazione con il privato la copertura economica di tutta l'operazione?
  1. Così come desta perplessità la predisposizione del computo metrico, presentato ad agosto senza importi e senza che nessun tecnico l'abbia firmato; ora appaiono gli importi e dalla documentazione relativa alla variante comprendiamo che era stato redatto da Laika. Ad alimentare la confusione il computo metrico presentato ora si differenzia da quello allegato alla delibera di giunta dell'ottobre 2011 nella descrizione e attribuzione delle voci, ma parrebbe chiaro l'intervento del comune nell'opera di rimozione, quindi si presuppone un aggravio nell'impegno economico dell'amministrazione

Infine due ultime riflessioni di carattere generale
La prima:
è paradossale e al tempo stesso preoccupante che la voce del dissenso solo per essere tale venga definita calunnia. Si dimentica che il confronto democratico, anche quando si fa duro e aspro, è garantito se non si demonizza l'avversario, a meno che non si voglia togliere legittimità a chi fa opposizione politica e contesta scelte magari avvallate ai massimi livelli, ma non per questo esenti dal poter essere criticate. Fino ad oggi l'abbiamo chiamata democrazia.
Perché in una democrazia rappresentativa non conta unicamente chi ha il diritto/dovere di governare, Bene dunque ribadire che anche chi non ha raggiunto la maggioranza concorre a fare politica esprimendo una voce diversa, un dissenso, una controproposta che deve avere spazio e riconoscimento per alimentare un confronto di idee che è garanzia di libertà e democrazia.
E per ultimo una valutazione politica sull'intera vicenda:
Noi abbiamo rappresentato e continueremo a farlo un altro modo di coniugare diritto al lavoro e diritto all'ambiente, e abbiamo indicato un'altra modalità con cui le pubbliche amministrazioni devono lavorare in modo trasparente per l'interesse generale della collettività.
Il trasloco degli etruschi di Ponterotto è diventato un caso emblematico ed ha avuto risonanza nazionale perché ha posto chiaramente sotto gli occhi di tutti le contraddizioni e l'inadeguatezza delle politiche economiche di quelle forze di governo che proprio in Toscana svendono beni comuni e territorio, ferme ad un modello ormai superato di sviluppismo senza futuro: una cartolina della Toscana sempre più deteriorata, ci pare.

La difesa del paesaggio, del patrimonio storico e culturale, della “bellezza” di un territorio non sono né un lusso riservato a pochi, né un “capitale” da poter mettere in vendita di fronte alle logiche di un'economia di mercato sempre più devastanti, ricattatorie e rappresentative degli interessi di pochi. Costituiscono invece un valore assoluto, un bene comune non negoziabile, sul quale fondare una proposta di riconversione economica equa e sostenibile, l'unica strategia in grado di garantire qualità della vita alle nostre comunità. In questa prospettiva Il territorio è il vero patrimonio collettivo, quel valore aggiunto che va difeso piuttosto che consumato e distrutto.
Queste sono le nostre proposte che non smetteremo di sostenere, sentendoci parte di un movimento sempre più vasto che chiede grandi cambiamenti alla politica e alle istituzioni.
La vicenda Laika dimostra in modo inequivocabile la necessità di trovare risposte innovative e coraggiose per superare positivamente le contraddizioni del presente, acuite oltretutto dall'attuale crisi economica. Chi oggi si è dichiarato vincitore in questa vicenda certamente non ha salvato il passato e non ci pare all'altezza di costruire il futuro.

Lucia Carlesi

martedì 8 novembre 2011

La San Casciano del caso Laika "premiata" da Riccardo Conti

Il modello toscano secondo Riccardo Conti
Paolo Baldeschi su Eddyburg, 06.11.2011

Un convegno molto utile per capire, a San Casciano. Flavio Cattaneo...

Un convegno molto utile per capire, a San Casciano. Flavio Cattaneo (amministratore delegato Terna), Roberto Colaninno (presidente Alitalia), Vito Gamberale (amministratore delegato del fondo F2i, specializzato in investimenti in reti e infrastrutture), Mauro Moretti (amministratore delegato ferrovie italiane). Quattro nomi che interverranno nella giornata conclusiva del convegno "Le reti che fanno crescere l'Italia". Quattro nomi che rappresentano il ponte di comando delle infrastrutture italiane e dei relativi interessi e fin qui siamo all'ordinario lobbismo; ma che assumono un significato particolare se vi aggiungiamo Massimo D'Alema, Riccardo Conti e il ministro Altero Matteoli, i politici che parleranno insieme agli 'imprenditori'. La sede prescelta del convegno, che si terrà dal 10 al 12 novembre, è non casualmente San Casciano in Val di Pesa, il comune la cui pessima gestione del caso Laika per dichiarazione di Conti viene rovesciata in modello esemplare.

Il significato politico dell'incontro è del tutto evidente. Si vuole proporre un tipo di governance basato sull'intreccio fra (presunti) interessi pubblici e interessi privati alimentati con i soldi dei contribuenti. Il tutto in nome di una modernizzazione che ignora i problemi del territorio, della crescente scarsità delle risorse e che neanche i disastri e le alluvioni degli ultimi giorni riescono a riscuotere dal tetragono procedere verso l'insostenibilità sociale ed economica (oltre che ambientale). Una politica che vede il futuro della Toscana nel ruolo di piattaforma logistica dei trasporti e dei traffici nord-sud (meno di quelli est-ovest ha detto Conti con una puntatina di dissenso rispetto a precedenti dichiarazioni del presidente della Regione - quest'ultimo è solamente intervistato nella tre giorni). Un' iniziativa della parte più conservatrice del Pd a difesa delle posizioni di potere nella roccaforte, o presunta tale, toscana e chiaramente contro le timide aperture del governo regionale e la politica riformatrice dell'assessore al territorio, Anna Marson. Riccardo Conti, l'organizzatore, qui si presenta come vicepresidente dell'Associazione Romano Viviani a braccetto con la Fondazione Italianieuropei di Massimo d'Alema. Ma di fatto il suo ruolo è di coordinatore nazionale per le infrastrutture nel Pd, di consigliere di amministrazione di F2i (guarda caso) in rappresentanza del Monte dei Paschi di Siena e, sempre per la 'banca rossa' di consigliere di amministrazione di SAT, la società che deve realizzare la discussa autostrada tirrenica. Il tutto con la benedizione di Altero Matteoli, che di Conti condivide gli stessi interessi infrastrutturali e la stessa idea di una governance territoriale fatta da imprenditori e di politici cointeressati che fanno da riferimento a cooperative rosse e costruttori privati.

Notevole il fatto che nei tre giorni, per lo più popolati da politici e amministratori del Pd cresciuti nelle botteghe del partito e perciò sconosciuti alla società, siano stati invitati docenti universitari di vari atenei nazionali, ma non un solo docente toscano, nel momento che le Università di Firenze, Pisa, Siena formano una rete di atenei per la revisione del Piano di indirizzo territoriale, che a sua volta avrà qualcosa da dire su quali siano le reti che fanno crescere la Toscana. Ma ancora più notevole il fatto che non si accenni, nell'intervista di Conti apparsa su Metropoli (giornaletto locale di proprietà del coordinatore del Pdl Denis Verdini, che qui funge da cassa di risonanza del Pd), né ai movimenti e ai comitati che in Toscana sono attivi, non per contrastare, ma per qualificare in senso moderno, sostenibile e non cementizio lo sviluppo della reti (soprattutto immateriali), né all'opportunità e necessità di partecipazione dei cittadini.

D'altronde la politica come ramo specialistico delle professioni intellettuali che non deve essere condizionata dal 'popolo', vale a dire è sorda nei confronti della società civile, è il nocciolo del pensiero politico di D'Alema. Da qui le alleanze con i vari Matteoli, le pericolose frequentazioni dei Pronzato e dei Penati, il prolungato appeasement nei confronti di Berlusconi. E la triplice veste di Conti - che Bersani continua a ignorare - con i suoi corposi conflitti d'interessi, dà un pessimo segnale di contro-rinnovamento (dove il rinnovamento non è certo quello ultraliberistico di Renzi) e delude chi ancora spera nelle capacità del partito democratico di liberarsi dai condizionamenti delle conventicole affaristiche.

Quando la nausea mi assale succhio uno spicchio di limone. Quando ascolto storie come questa torno a leggere questo testo. Lo consiglio anche a voi

mercoledì 26 ottobre 2011

Le archeopatacche del Presidente della Gran Toscana Enrico Rossi

Per chi ha ancora qualche illusione su cosa ne faranno di Gonfienti, in particolare su quello che ne farà Enrico Rossi, si veda dello scempio fatto a San Casciano (a Firenze) con i soldi della Laika, ovvero spostare il sito archeologico, sì letteralmente spostare il sito archeologico da un'altra parte con il bene placito della Soprintendenza!, per dare questo santo benedetto lavoro a un tot numero di gente, dice lui, ma in realtà per intascare i soldi della balla-laika.
In una recente intervista il presidente ha detto che lui è per il paesaggio, e per questo lo tutela con i capannoni, che meglio delle villette oppure con qualche roba da turismo invasivo.
Leggete, e capite di che sinistra sostanza son fatti questi nostri am-minestratori.

Maila Ermini su Primavera di Prato

Vedi anche Maila Ermini mette nero su bianco la storia della battaglia di Gonfienti

martedì 25 ottobre 2011

Laika, firmato il protocollo di intesa

Questa la notizia, pubblicata nel sito Toscana notizie, agenzia della Giunta Regionale Toscana:

Laika, firmato il protocollo di intesa
FIRENZE – Firmato oggi il protocollo di intesa per la tutela e la valorizzazione delle strutture di epoca etrusca e romana rinvenute a Ponterotto, nel Comune di San Casciano, attraverso un progetto di ricollocazione, restauro dei reperti e allestimento dell’area archeologica. Hanno firmato il documento, con il presidente Enrico Rossi, Maddalena Ragni per il Ministero per i beni e le attività culturali, Maria Rosa Barbera della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il sindaco del Comune di San Casciano, Massimiliano Pescini, e l’AD della Laika Caravans spa, Jan Gerrit De Haas. Questi ultimi due soggetti si impegnano a farsi carico dei costi dell’intervento, che dovrà essere ultimato entro il 30 giugno 2013. Con questo atto viene data soluzione positiva al problema della tutela e della fruizione dei beni ritrovati, considerati una importante testimonianza del popolamento antico del territorio. La Laika potrà dal canto suo riprendere la realizzazione del nuovo stabilimento, assicurando lavoro a 249 persone (più le 800 dell’indotto).
Sul progetto, come ricorda la delibera adottata ieri della giunta regionale, si sono nel tempo pronunciati positivamente gli enti statali al massimo livello: la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, la Direzione generale per le antichità dello stesso Ministero. La Regione dal canto suo esercita i compiti specifici che attengono alla valorizzazione dei beni storici e artistici presenti sul territorio.
Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”, in posizione limitrofa al percorso ciclabile che costeggia la Pesa, mantenendo ognuna il proprio orientamento in modo da riprodurne la disposizione rispetto all’esposizione al sole e alla direzione dei venti. Le strutture saranno circondate da una recinzione che ne permetta la visione dall’esterno.

La vicenda
Nel 2004 il Comune di S.Casciano ha approvato una variante del Piano regolatore che consentiva a Laika l’utilizzo di un terreno di sua proprietà ai fini della realizzazione del suo nuovo stabilimento. La nuova struttura nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dopo la conclusione dell’iter autorizzativo, nel corso dei lavori, in diversi periodi del 2010, sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferite ad epoche distinte, in particolare etrusca e romana. Fra gli altri, si sono identificati due siti di significativo interesse, ubicati lungo la pianura fluviale del Pesa o arroccati sulle alture che la difendevano naturalmente: i resti di un edificio residenziale di età etrusco-ellenistica e della pars rustica di una villa romana di prima e media età imperiale (IV-III sec. a.C.). Il mantenimento in situ di tali testimonianze è risultato da subito incompatibile con le opere da realizzare e per questo motivo è stata richiesta subito l’autorizzazione alla rimozione. La Soprintendenza ha espresso parere favorevole in quanto è stato ritenuto che l’intervento di rimozione e di ricollocazione garantisse la conservazione dei beni rinvenuti permettendone la loro fruizione e valorizzazione. L’autorizzazione definitiva alla rimozione è arrivata dalla Direzione generale del ministero nel 2011.

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Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”...
ah, si è cambiata nuovamente la destinazione, solo "appena" un po' più in là



E questo il commento di Enrico Rossi intitolato

Laika, Rossi: “Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro”
“Mi sembra che ora ci siano tutte le condizioni per andare avanti. Conciliare la tutela dei beni culturali e paesaggistici con la necessità dello sviluppo è sempre più difficile, ma è la nostra scommessa. Sono convinto che, se venissero a mancare il mantenimento e lo sviluppo del nostro apparato produttivo, si aprirebbe il campo ad una minaccia assai maggiore nei confronti del paesaggio, dei beni culturali e delle caratteristiche distintive della nostra Regione. Una minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita e di ipersfruttamento delle bellezze che abbiamo e che invece dobbiamo preservare per il futuro”.

Così si è espresso il presidente Enrico Rossi commentando oggi la firma del protocollo Laika. “La Regione – ha proseguito – non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali. In più ci siamo impegnati per dare certezza a una impresa e a tanti lavoratori. Ci sono state discussioni e alla fine una assunzione di responsabilità. Abbiamo gli occhi addosso – ha concluso il presidente Rossi – ma così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale”.

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Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro...
una soluzione che non salva il futuro e certamente non il passato
Una minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita...
mi sono perso qualcosa?
La Regione non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali...
frase di significato oscuro
Abbiamo gli occhi addosso...
effettivamente...
così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale...
qui se la canta e se la suona.

La lettera al Presidente della Regione Toscana da parte dei Presidenti delle Consulte Archeologiche

La vicenda di San Casciano rappresenta l'ennesimo episodio di 'distruzione' del patrimonio archeologico e ambientale. Nello specifico, non è tanto l'importanza dei resti rinvenuti (di cui quasi nessuno conosce l'entità e la natura), ma proprio l'assenza di informazione e di partecipazione nelle scelte decisionali (fino alla risibile decisione di allocare altrove ciò che rimaneva delle strutture murarie scoperte) che rendono discutibile ed emblematica la vicenda.

La presa di posizione pubblica da parte delle due Consulte Archeologiche (la Consulta Universitaria per l'archeologia del mondo classico nella persona della Presidente Prof. Angela Pontrandolfo e la Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica nella persona del Presidente Prof. Sauro Gelichi) nella lettera inviata al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Maddalena Ragni.



Al Presidente della Regione Toscana Dott. Enrico Rossi Regione Toscana
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Dott.ssa Maddalena Ragni


Gentile Presidente, Gentile Direttrice
la Consulta universitaria per l'archeologia del mondo classico e quella per l’Archeologia Post-classica esprimono condivisione e pieno sostegno alla lettera inviata dal collega Giuliano Volpe, sulla questione dei rinvenimenti archeologici avvenuti nel Comune di San Casciano val di Pesa (FI), in occasione della costruzione di un nuovo stabilimento da 300mila metri cubi da parte di Laika. Pur non volendo entrare nel merito del ‘valore’ del contesto archeologico che si intende rimuovere e trasportare altrove, anche perchè privi di sufficienti informazioni scientifiche, ci sentiamo tuttavia di dover rilevare la scarsa trasparenza che ha contraddistinto l’iter di tutta questa vicenda, fin dalla mancata diagnostica preventiva. Anche noi ci auguriamo che la Regione Toscana, che è stata protagonista di avanzate politiche di tutela e valorizzazione del proprio patrimonio archeologico e paesaggistico, sappia trovare le soluzioni più idonee per offrire una soluzione adeguata all’intera vicenda.
Con i migliori saluti

Prof. Angela Pontrandolfo Presidente della Consulta Universitaria per per l'archeologia del mondo classico

Prof. Sauro Gelichi Presidente della Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica

lunedì 24 ottobre 2011

Salvatore Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione

Laika, quel trasloco è fuorilegge
L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione

Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011

A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.

Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.

E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.

A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.

Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.

Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?

Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.

L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?

Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.

Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.

Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.

Leggi l'articolo

Salvatore Settis: Laika, quel trasloco è fuorilegge

Laika, quel trasloco è fuorilegge
L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione


Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011

A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.

Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.

E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.

A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.

Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.

Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?

Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.

L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?

Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.

Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.

Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.

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domenica 23 ottobre 2011

Marson fra le ombre etrusche. L'assessore: "Attaccano me, ma qual è il veo obiettivo?"

Corriere Fiorentino, 22 ottobre 2011


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sabato 22 ottobre 2011

La lettera aperta di Giuliano Volpe a Enrico Rossi e Maddalena Ragni

Lettera aperta di Giuliano Volpe, archeologo e Rettore dell'Università di Foggia, 22 ottobre 2011

Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni



Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.

Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».

Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.

Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?

Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.

Con i saluti più cordiali e con grande stima

Giuliano Volpe

Lettera aperta di Giuliano Volpe a Enrico Rossi e Maddalena Ragni

Lettera aperta di Giuliano Volpe, archeologo e Rettore dell'Università di Foggia, 22 ottobre 2011
La lettera inviata come archeologo e come cittadino

Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni



Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.

Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».

Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.

Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?

Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.

Con i saluti più cordiali e con grande stima

Giuliano Volpe

Lettera aperta di Giuliano Volpe a Enrico Rossi e Maddalena Ragni in attesa di cortesi (e doverose) risposte sulla vertenza Laika vs Etruschi

Lettera aperta di Giuliano Volpe, archeologo e Rettore dell'Università di Foggia,
22 ottobre 2011








Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni



Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.

Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».

Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.

Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?

Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.

Con i saluti più cordiali e con grande stima

Giuliano Volpe

Lettera aperta di Legambiente circolo Il Passignano

Ai lavoratori LAIKA
Alla RSU LAIKA
Alla FIOM CGIL
Alla CGIL
E p.c. al segretario nazionale FIOM Maurizio Landini

Cari compagni ed amici lavoratori e sindacalisti. Chi vi scrive è il circolo Legambiente Il Passignano; siamo un piccolo gruppo di persone semplici (contadini, artigiani, insegnanti, pensionati) che da oltre 10 anni si è impegnato nel tentativo di impedire e contestare un intervento immobiliare distruttivo da parte della azienda Hymer, proprietaria di Laika caravan: la costruzione di uno stabilimento di 34000 mq, dei quali subito ne vengono edificati 26000, nel fondovalle della Pesa dove da sempre abbiamo chiesto di localizzare un parco territoriale fluviale, in una zona lontana dalla superstrada, senza ferrovie o infrastrutture di collegamento, lontana pure dal distretto della camperistica di Poggibonsi. Il posto sbagliato per uno stabilimento che nessuno contesta ma del quale chiedevamo una localizzazione all’interno di zone industriali in essere, già previste dalla pianificazione locale (a Tavarnelle, o a Barberino, o a Poggibonsi stessa).

Nessun conflitto quindi con i lavoratori, nessuno tra noi ha mai messo in discussione la produzione di camper in quanto tale o la localizzazione nel Chianti di questa azienda.
Abbiamo contestato il fatto che l’azienda, per realizzare un affare immobiliare, abbia comprato su indicazioni degli amministratori locali di San Casciano certi terreni agricoli (nel 2002) con la garanzia che poi sarebbero state rese edificabili (cosa successa due anni più tardi, con la variante del 2004), al di fuori di ogni pianificazione pubblica. Un colossale affare per chi ha venduto terreni agricoli a 23 euro al mq, un prezzo quasi venti volte superiore a quello di un seminativo. Un bell’affare anche per chi ha comprato al valore di un quarto del terreno fabbricabile industriale.

Abbiamo contestato il fatto che la Hymer nel 2000 abbia prima completato la costruzione dello stabilimento LAIKA3, 13000 mq ottenuti dalla precedente proprietà con apposita variante del 1997 dal Comune di Tavarnelle al fine di consentire l’accorpamento degli stabilimenti oggi dispersi, poi lo abbia dichiarato inadatto alla produzione, e successivamente lo abbia messo in vendita per 12 milioni di euro al fine di finanziare l’operazione immobiliare; una truffa ai danni della comunità locale, alla quale anche noi avevamo creduto, appoggiando quella variante a Tavarnelle in nome del diritto alla sicurezza dei lavoratori e accettando il connesso consumo di suolo come un costo necessario.

Dopo tanti anni di vertenze si è arrivati nel 2007 alla variante definitiva e nel 2008 al progetto concessionato dello stabilimento: passati altri tre anni persi dall’azienda (che ha presentato una richiesta di variante alla variante) si avviano nel 2010 i lavori di scavo, che fanno emergere vestigia etrusche e romane. Abbiamo chiesto chiarezza sul valore dei reperti, e abbiamo contestato un accordo siglato tra azienda e Comune in virtù del quale per non cambiare un mattone del progetto (cosa facile e praticabile) si è deciso di smantellare una zona archeologica, ricostruendo CON SOLDI PUBBLICI una finta rovina con le pietre e i muri riassemblati. Questa storia ha prodotto articoli e dibattiti pubblici, che però sembrano destinati a essere spazzati via dalla annunciata firma della Regione del protocollo di intesa con Laika.

Non abbiamo mai contestato il legittimo diritto dei lavoratori di chiedere uno stabilimento salubre e razionale, perché ritenevamo e riteniamo opportuna e necessaria una soluzione alle esigenze di ristrutturazione aziendale che conciliasse tutela del paesaggio e dei beni culturali e sviluppo delle attività economiche.

Però sentiamo la necessità di porvi delle domande:
Perché avete sin dall’inizio rifiutato di incontrare e confrontarvi con noi e le altre associazioni ambientaliste, sposando acriticamente il progetto dell’azienda e rendendo così impossibile l’emergere di alternative al sito? Eppure, se avessimo unito le forze avremmo potuto chiedere all’amministrazione comunale di San Casciano di non accettare supinamente ogni pretesa dell’azienda. Lo stabilimento Laika 3 avrebbe potuto essere usato, sia pur temporaneamente in questi 10 anni, per togliere i lavoratori da capannoni a rischio, con tettoie di amianto. In questi 10 anni un nuovo stabilimento di 22000 mq poteva tranquillamente essere localizzato e costruito, anche riusando volumetrie esistenti. Invece avete accettato la messa in vendita dello stabilimento appena costruito a Tavarnelle, avete accettato di lavorare 10 anni in condizioni di rischio e disagio, addirittura trasformando questo fatto in una imputazione verso chi contestava la variante: invece nei vostri comunicati l’azienda che per risparmiare non rimuove l’amianto e che per far cassa vende uno stabilimento vuoto a norma e salubre non compare mai come controparte o responsabile del vostro disagioi! Il conflitto sulla variante ha prodotto inefficienze, ritardi, dei quali voi per primi avete pagato e pagherete i costi; preventivando realisticamente altri due anni di lavoro per distruggere il sito archeologico e per costruire lo stabilimento, ci saranno voluti 13 anni per realizzare un banale capannone, mentre se insieme avessimo proposto altre strade, la Hymer avrebbe scelto un’altra localizzazione nel Chianti a minore impatto e avrebbe già realizzato e messo in produzione lo stabilimento da anni (certo, rinunciando alla speculazione sui terreni in territorio aperto).

Perché vi siete prestati a diventare la massa di manovra dell’azienda, attaccandoci metodicamente ogni volta che noi provavamo ad interloquire o a contestare le scelte dell’impresa? Quando abbiamo ricorso al TAR il sindacato ha garantito sulla piena liceità dell’intervento, quando abbiamo contestato l’impatto ambientale la RSU ci ha attaccati dichiarando che quell’area è in realtà già degradata e industrializzata, quando abbiamo chiesto di salvare i reperti archeologici il segretario regionale CGIL ci ha risposto che tra gli etruschi e il capannone bisogna scegliere “il futuro”.

Insomma, invece di scontrarci con la società Hymer (che ha sempre tenuto un profilo bassissimo), con i suoi tecnici o i suoi portavoce, trovavamo i vostri striscioni a pavesare le sale comunali quando c’era da mettere in minoranza la critica, trovavamo le vostre interviste e i vostri comunicati che ci dichiaravano NEMICI DEL LAVORO, sia che cercassimo di dibattere sui beni archeologici sia che discutessimo di paesaggio o urbanistica. Di questo totale appiattimento sulle ragioni aziendali è testimonianza ultima un volantino diffuso in tutto il paese a firma “lavoratori Laika” nel quale si legge che gli ambientalisti “…ci hanno attaccato dipingendoci come dei distruttori delle bellezze del Chianti, ricorrendo alla magistratura….” Come se criticare la multinazionale Hymer o ricorrere alla giustizia significasse attaccare i dipendenti!!! Noi non abbiamo mai detto che sono i lavoratori o i sindacati responsabili delle scelte aziendali, purtroppo siete voi che avete stabilito l’equazione
PROFITTO AZIENDA=LAVORO=INTERESSE PUBBLICO.
Una equazione tutta da dimostrare e che temiamo produrrà cemento, distruzione ambientale, poco lavoro e sul lungo termine POCHI DIRITTI DEL LAVORO: prima si attaccano i vincoli ambientali e il diritto della comunità alla bellezza e al paesaggio, ma poi sotto i colpi della crisi le imprese chiederanno di ridiscutere anche i diritti collettivi e individuali dei lavoratori, e se accettiamo l’idea che l’impresa economica e il profitto sono in quanto tali INTERESSE SUPERIORE cadranno anche quelli. Noi crediamo che solo una riconversione ecologica dell’economia offra sul lungo periodo garanzie di giustizia, sostenibilità e occupazione, ma per imporre le necessarie scelte di rinnovamento servirebbe un sindacato che metta in discussione cosa e come si produce, costruendo alleanze con soggetti della società e del mondo della cultura: nel caso Laika, vi siete scelti un ruolo del tutto antitetico.

Perché vi siete prestati a coprire le campagne di propaganda dell’azienda a base di dati ritoccati o fuorvianti? Perché avete accettato di presentare come virtuosa e proiettata nel futuro la società Hymer? L’azienda, fornendo dati incompleti o fuorvianti ha chiaramente cercato di “blindare” le volumetrie ottenute, affermandone la necessità in funzione di future inverosimili espansioni produttive. Questo perché si tratta di un investimento che consentirà di capitalizzare il vantaggio ottenuto con la variante ad hoc, e perché ogni mc di capannone può tradursi in futuro in soldi (come dimostra la storia dello stabilimento mai usato e messo in vendita).

Ma la realtà è un’altra, è quella di una crisi generale del settore dal quale l’impresa ha cercato di uscire facendone pagare il costo in Germania e in Francia a centinaia di lavoratori messi sul lastrico (Eriba francese, dichiarata fallita nel 2010 con 190 dipendenti). Laika ha fatto ricorso al lavoro precario per rispondere ai picchi produttivi del (28 interinali nel 2008) proprio perché nelle valutazioni dei loro analisti si preventiva una fase non passeggera di stabilizzazione dei mercati, e il nuovo stabilimento non casualmente è “solo” di 26000 mq, a fronte di 34000 previsti dalla variante. Il dimensionamento del progetto (servizi, logistica, etc.) è dichiarato da Laika per 210 addetti complessivi alla produzione (compreso magazzino), meno di quanti ne ha avuti nel recente passato. La stessa crisi di vendite e produzione è stata nascosta, schermata, alla pari del calo degli addetti totali dai 270 del 2008 ai 196 del 2009, ai 189 del 2010. Si sono gonfiate le cifre, dichiarando un indotto inverosimile: 100-150 addetti dell’indotto nel 2004 dichiarati da Laika all’atto di richiesta della Variante (86 milioni di produzione), diventati 450 nel 2007 (95 milioni di produzione), cresciuti a 800 e 1000 oggi nelle dichiarazioni di amministratori e sindacato (70 milioni di produzione dichiarati, da verificare): si decuplica l’indotto a fronte di un calo della produzione!!! Nel bilancio 2010 (ultimo verificabile) si vede una “ripresina” con crescita del 2% delle vendite (da 54 a 56 milioni) mentre per lo stesso periodo venivano fatti circolare sulla stampa dati di crescita del 34% degli ordinativi….

Potremmo citare molti numeri che non tornano, ma la sostanza è una sola: quel capannone è oggi esuberante le reali necessità produttive dell’azienda, in gran parte resterà vuoto (lo si vede dal progetto), e lo si potrebbe in parte ridisegnare per salvare almeno i reperti archeologici. L’azienda per non spendere una lira in più usa l’argomento della grande urgenza e della necessità di ampliamento della produzione, anche perché il comune si impegna a usare i soldi dei cittadini per contribuire a smantellare il sito e a ricostruirlo fasullo. Voi, che conoscete la verità, vi siete prestati a questa operazione che di sicuro va nell’interesse degli azionisti Hymer ma, ci sembra, non dei vostri.

Perché vi siete prestati a delegittimare le ragioni di chi difende il territorio, diffondendo una immagine falsa e caricaturale delle nostre ragioni? In un comunicato la RSU ha parlato di finanziamenti agli ambientalisti da parte della concorrenza di Laika, in una dichiarazione stampa un dirigente FIOM ha dichiarato che dietro di noi c’è il fantomatico amministratore di una grande azienda milanese con villa in loco, in altro comunicato RSU si parla di “chi per motivi a noi ignoti, si oppone a questo investimento ….” adombrando interessi incoffessabili. Il segretario CGIL regionale ci descrive come coloro che vedono la Toscana come “terra del buon ritiro”, in una sbalorditiva consonanza con la presidente regionale di Confindustria Mansi che parla di “ambientalisti in cachemire”. Possiamo non essere d’accordo, possiamo criticarci, ma noi non ci sogneremmo mai di denigrare o insinuare che dietro le vostre posizioni (che non condividiamo) ci siano interessi segreti o finanziatori occulti. Alcune vostre affermazioni, se fatte dalla Hymer, ci avrebbero portati a querelare (pensiamo con buona possibilità di vincere in tribunale). Voi sapete che noi non avremmo risposto anche ad insulti o illazioni fatte dai lavoratori, perché non siete e non vi consideriamo i nostri nemici. Perché allora usate il prestigio e la dignità del sindacato per colpire noi, associazioni, cittadini, comitati, che lottiamo per la difesa di BENI COMUNI quali il territorio e l’ambiente?

Le ragioni della nostra opposizione sono chiare, scritte in centinaia di volantini e comunicati. Criticatele, discutiamone, ma non fate di noi i ridicoli bersagli di una campagna diffamatoria. La “santa alleanza” che abbiamo visto costruire sul caso Laika vede un abbraccio mortale che, in nome della “CRESCITA”, dello “SVILUPPO”, del “LAVORO”, unisce sindacati, confindustria, poteri locali, partiti di centro sinistra e centro destra; alla base di questa alleanza l’idea che di fronte ad investimenti produttivi sul territorio toscano non debbano esistere invarianti territoriali, beni comuni non negoziabili, beni culturali da tutelare. Si crea ad arte una frattura tra chi difende le ragioni dell’ambiente e chi difende le ragioni dei lavoratori, ed in questo conflitto perdono secondo noi sia i diritti dei lavoratori sia il diritto all’ambiente e alla salute.

Lo scopo di questa lettera non è riaprire polemiche sul passato, mai chiedervi l’apertura di un confronto, che guardi ad un futuro nel quale non esistano più altri “casi Laika” e nel quale sia possibile trovare una unità di intenti per l’edificazione di una economia sostenibile e di società più giusta e solidale


LEGAMBIENTE circolo Il Passignano

venerdì 21 ottobre 2011

Ebbene sì, ha vinto Confindustria. E ora?

Sembra che in Toscana, 26 anni dopo la “legge Galasso”, si sia ancora molto lontani dall’assegnare alla tutela delle qualità del territorio priorità rispetto allo sviluppo del cemento.

di Claudio Greppi, Eddyburg, 21 ottobre 2011


Con il comunicato di ieri del presidente della Regione Enrico Rossi e con l’intervista di oggi su Repubblica di Antonella Mansi, presidente di Confindustria Toscana, la vicenda Laika al Ponterotto passa ad una nuova fase. E’ vero, abbiamo cercato di impedire il trasferimento dei reperti archeologici che per quasi tutti (tranne i responsabili, per l’appunto) è uno scempio senza senso, che ci coprirà di ridicolo. Una soluzione poteva anche essere trovata, lasciando i reperti al loro posto e modificando la planimetria del capannone: ma non ne hanno voluto sapere. Vogliono far presto e bene, come dice spesso Rossi: perderanno un sacco di tempo (e di soldi) e faranno male, diciamo noi.

Tutto ciò ha contribuito a rimettere in luce una vicenda lunga dieci anni, pieni di dubbi e di passaggi poco chiari. Il terreno, agricolo, è stato venduto a prezzo industriale come dice oggi il direttore di Laika De Haas, e ripete il presidente Rossi, oppure no? Circa 20 € al metro quadro, nel 2002, sono tanti o pochi? Quali erano le alternative, se sono state cercate, e se no, perché? E la lunga procedura della valutazione, richiamata dal Sindaco, è stata una cosa seria o una farsa? E le cosiddette mitigazioni, a cui ancora oggi ci si appella, hanno ancora senso, dopo la scoperta dei reperti? E perché non è mai stato fatto un serio rilievo del terreno, quando era il momento? E chi, fra i responsabili ai vari livelli, conosce davvero la consistenza dei ritrovamenti, sui quali non è ancora stata prodotta alcuna relazione? E perché tutta questa segretezza, nel tenere nascoste decisioni già prese più di un anno fa, nell’impedire addirittura la visione dell’area ai “non addetti ai lavori”?

Queste domande resteranno senza risposta, anche se si può dire che se prima se ne parlava solo a San Casciano, ora se ne parla in tutta Italia. Ma partiamo dall’episodio di giovedì 13 ottobre, ben documentato su: http://inchieste.repubblica.it/. Nel corso della preparazione di un servizio sul caso Laika due giornalisti di Repubblica, Francesco Erbani e Mario Neri, si avvicinano con la telecamera per riprendere, dall’esterno, la zona degli scavi più vicina alla strada provinciale, dove stanno lavorando alcuni addetti della Soprintendenza: i quali accorrono subito al cancello del cantiere, intimano ai due giornalisti di andarsene e minacciano l’intervento dei carabinieri. Il tutto in nome del “Codice del Paesaggio”, che dovrebbe, a sentir loro, tutelare la riservatezza degli operatori, anche quando si tratta di beni culturali oggetto di discussioni pubbliche (e di fotografie sui giornali). Un simile trattamento non era certamente stato riservato, solo due giorni prima, ai rappresentanti delle categorie, inclusa Confindustria, invitati dal Sindaco alla presentazione del progetto e alla visita degli scavi. Il Codice non dice niente di simile, ovviamente, ma l’episodio è indicativo di un certo modo di procedere, che d’ora in avanti sarà bene cambiare profondamente.

Il quadrato intorno a Laika, come titolava la settimana scorsa il giornale locale Metropoli, formato da amministrazione comunale, partiti (PD + PdL) sindacato e Confindustria, è così “magico” che ha sempre pensato di far scomparire con un tocco di bacchetta ogni forma di dibattito fondato sulla conoscenza dei fatti. Se la scoperta dei reperti archeologici è venuta a galla, già all’inizio dei lavori nella primavera del 2010, lo dobbiamo al fatto che alcuni cittadini curiosi, che ben conoscono questa parte del territorio, seguivano con molta apprensione lo sviluppo del cantiere, ben sapendo che quel terreno nascondeva notevoli sorprese, come infatti si stava puntualmente verificando. L’impresa non poteva far altro che chiamare la Soprintendenza archeologica, che in un primo tempo accettava qualche forma di dialogo con i visitatori (i curiosi) locali.

Quando le prime pietre cominciano a venir fuori dal terreno, secondo i solerti scavatori sono solo tracce di quei muretti che si mettono intorno agli olivi (forse in Puglia?): al che un agricoltore del posto fa notare che in quel fondovalle gli olivi non si coltivano, bisogna salire un centinaio di metri più su. Si trattava infatti del sito di origine etrusca, che emergeva ai piedi della collina accanto a una fontana settecentesca: proprio quello che i curiosi locali si aspettavano. Ne dà conto, del ritrovamento, un breve trafiletto su Repubblica del 7 giugno, che fa imbestialire la Soprintendenza. E qui si chiude ogni possibilità di rapporto amichevole con le autorità preposte allo scavo.

A una mia cortese richiesta via mail, l’ispettrice Alderighi rispondeva: “Le comunico che la situazione è del tutto tranquilla; è stato previsto un controllo archeologico dell'area su mia indicazione fin dal momento della procedura per la VIA; gli scarsi rinvenimenti che possono avere un interesse archeologico sono di minima importanza e verranno valorizzati nel miglior modo possibile”. E proseguiva con un tono sempre più seccato: “La curiosità sua e della popolazione deve attendere ancora un po’ in quanto è norma di questa Soprintendenza non rendere noto alcun risultato né agli studiosi né ai curiosi se non al termine dei lavori e, per iscritto, sul Notiziario della Soprintendenza che viene pubblicato l'anno successivo; pertanto, da parte di questa Soprintendenza, come per tutte le attività in altri siti, non è autorizzato alcun sopralluogo né rilasciato alcun comunicato durante i lavori; ad ogni modo si tratta di un cantiere privato e quindi, anche per quanto riguarda l'intero cantiere, a prescindere dai miseri ritrovamenti, un eventuale sopralluogo deve essere autorizzato dalla Proprietà”.

La mail è del 9 giugno dell’anno scorso. Soltanto di recente, nel mese di settembre, veniamo a sapere che nello stesso mese di giugno quella stessa Proprietà, con la maiuscola, aveva avanzato la richiesta di trasferire i “miseri ritrovamenti”, che allora comprendevano solo il sito etrusco-ellenistico, in altra sede: per poi estendere la richiesta, tre mesi dopo, a proposito del sito della villa romana. La richiesta era stata accolta dalla Soprintendenza regionale, e inviata a Roma al Ministero, che poi finirà per accoglierla, come è noto. Di tutto questo non trapela nulla, né sulla stampa né negli atti dell’amministrazione comunale.

Ogni tentativo di saperne di più era stato frettolosamente respinto. Cito dall’ordine del giorno presentato il 29 settembre da Lucia Carlesi:
“con domanda di attualità (delibera CC n. 26 de1 12 aprile 2010) furono richieste informazioni circa i ritrovamenti che stavano emergendo a Ponterotto avanzando richiesta di massima trasparenza e conoscenza del progetto e l'Amministrazione assicurò la presentazione di una relazione; la commissione Ambiente e Territorio nella seduta del 16 giugno 2010 esaminò la richiesta di sopralluogo sul cantiere Laika avanzata dei gruppi consiliari Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista, Futuro Comune e Popolo della Libertà, per prendere visione degli scavi in corso e che tale richiesta fu respinta;”

Del trasferimento dei reperti si viene a conoscenza soltanto nello scorso agosto, anzi alla fine del mese, perché chi va a pensare che una delibera così importante venga presa dalla Giunta comunale il primo di agosto, senza alcuna pubblicità. E chi si poteva aspettare che il primo atto ufficiale in cui si parla di “accordo per la disciplina dei rapporti per la rimozione, ricollocazione, restauro e valorizzazione delle strutture archeologiche rinvenute in San Casciano Val di Pesa, località Ponterotto” venga non dalla Soprintendenza o dalla Regione, ma dalla Giunta che anticipa – senza neppure interpellare il Consiglio: e qui hanno commesso anche un errore procedurale, molto probabilmente – un protocollo che tutti gli interessati dovrebbero poi firmare. Qui si può dire che l’abitudine a lavorare di nascosto aveva preso un po’ la mano, ai nostri amministratori, forse convinti che nessuno si sarebbe accorto di quello che stavano facendo. Tanto più che se poi andiamo alla ricerca di qualcosa che somigli a un progetto di questa famosa “ricollocazione e valorizzazione” dei reperti dobbiamo andare a pescarlo in una deliberuccia precedente, risalente al 27 giugno, dal misterioso titolo “progetto esecutivo di valorizzazione dei siti archeologici e del parco sportivo ‘la Botte’ attraverso un sistema integrato di segnaletica turistica”.

Come mai il Sindaco avrà aspettato l’11 ottobre per presentare ufficialmente un progetto che se ne stava ben nascosto da tre mesi e mezzo? Come mai avrà scelto di presentarlo ai rappresentanti delle associazioni di categoria, e soltanto a loro: con successiva visita a “quei quattro sassi”, come li ha definiti la presidente di Confindustria? La risposta è semplice: perché solo nel mese di settembre un serio lavoro di denuncia e di comunicazione ha impegnato associazioni e comitati, oltre all’unica forza di opposizione rappresentata in Consiglio Comunale, quella di Laboratorio per un’altra San Casciano – Rifondazione Comunista. E’ stato sufficiente inventare un sito (http://archeopatacca.blogspot.com/), preparare qualche comunicato che dava pubblicità alla protesta per la mancanza di trasparenza. I primi attestati di solidarietà sono venuti proprio dal mondo degli archeologi, per i quali la stessa idea dello spostamento dei reperti suonava come uno scherzo di cattivo gusto. “La cosa che sollecita la mia curiosità e presenta, fin da subito, alcuni lati enigmatici è relativa al progetto di rimozione e ricollocazione dei resti archeologici: una procedura, tecnicamente assai problematica, alquanto rara e costosa”, così Giuliano Volpe il 12 settembre sul sito eddyburg, uno dei principali luoghi del dibattito sul territorio su scala nazionale.

Al resto ci hanno pensato proprio i sostenitori del progetto Laika, che per difenderlo con ogni mezzo hanno finito per contribuire a fare da cassa di risonanza: fino all’invasione del Consiglio Comunale in occasione della discussione su un ordine del giorno presentato da Lucia Carlesi, l’unica consigliera contraria all’operazione, accusata di voler togliere il lavoro agli operai e sottoposta a un vero e proprio tentativo di linciaggio politico. Antonella Mansi attacca gli “ambientalisti in cachemere”, e l’assessore Anna Marson risponde per le rime. Ma anche in questo caso quella che sembrava una posizione isolata, a San Casciano, è stata oggetto di una solidarietà ben più vasta e significativa, estesa a tutte le componenti dell’ambientalismo vecchio e nuovo. Anche fra le forze politiche che sostengono la Giunta regionale si sono manifestati seri dubbi sulla correttezza dell’operazione, fino al momento in cui Enrico Rossi ha chiuso ogni spiraglio annunciando la prossima firma del protocollo su “ricollocamento e valorizzazione” dei reperti, visto che è tutto in regola, con il benestare degli organi di tutela. L’archeopatacca si farà, dunque?

A questo punto possiamo promettere solo una cosa: che non staremo a guardare passivamente. Il lavoro di questi due mesi ha fatto emergere tutti i vizi di una vicenda nata male e continuata peggio. Un errore urbanistico iniziale, un disegno campanilistico in nome di presunti interessi dei lavoratori che coincidono con quelli dell’azienda, finisce per produrre una gaffe culturale senza precedenti. Ci dispiace che i dipendenti Laika siano stati tirati in ballo a sproposito per coprire responsabilità politiche (qualcuno ha anche parlato di “scudi umani”). E allora anticipiamo fin d’ora quelle che saranno le nostre domande nei prossimi mesi.

Quanto tempo ci vorrà per spostare i reperti in condizioni di sicurezza? Si parla di completare tutta l’operazione a primavera, del 2012: vogliamo scommettere che si arriverà a quella del 2013?
Quanti soldi costerà l’operazione? Si parla di 400.000 € da parte dell’azienda: e il resto? Il Comune dove li trova, i soldi (cosa che le delibere non chiariscono minimamente)? Li metterà la Regione, e con quale giustificazione? Ricordiamo che per rimpinguare le scarse risorse finanziarie il Comune ha già provveduto a vendere pezzi del proprio patrimonio: continuerà così?
Che aspetto avrà il sito-patacca? Le opere murarie saranno davvero “restaurate” come si sente dire, e inserite in un bel giardino pubblico? Quante risate si faranno i visitatori? O ci sarà da piangere?
E infine, quanti operai resteranno senza lavoro, una volta completata la nuova struttura produttiva, in nome della razionalizzazione invocata dall’azienda? E quali diritti spetteranno ai dipendenti che si sono schierati con il padrone (non si dice più?) legandosi mani e piedi alle sorti dell’azienda?

Sarà molto triste, fra qualche anno, dire che avevamo ragione: quando la frittata sarà fatta, con tutto il danno irreversibile a quel bene comune che è il paesaggio con i suoi valori storici e culturali. Se non possiamo impedire lo scempio, possiamo almeno dire che chi lo ha voluto se ne dovrà assumere la responsabilità, che l’operazione non potrà mai più essere sepolta sotto le formule del “è tutto sotto controllo” e “lasciateci lavorare”. Ci hanno provato, a fare tutto di nascosto: ma non ci sono riusciti. Questa è la nostra modesta vittoria, per ora: provino a sostenere il contrario.

Claudio Greppi si esprime anche a nome della Rete dei comitati per la difesa del territorio.

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L'ambiente o il salario, i rischi di un ricatto

L'ambiente o il salario, i rischi di un ricatto
di Paolo Baldeschi, Corriere Fiorentino, giovedì 20 ottobre 2011


Al punto in cui siamo giunti, in piena crisi economica, con la gente che perde il lavoro e deve pagare il mutuo per la casa, è quasi impossibile che si trovi una soluzione alla vicenda Laika che salvi salario e ambiente. Quando si ha la pictola alla tempia si deve mollare la borsa e se fossi nelle condizioni degli operai della Laika anch'io mi batterei per la costruzione del capannone senza ulteriori indugi.

Ma, tuttavia, sarei ben consapevole di essere sotto ricatto. E ciò, a maggior ragione deve valere per sindacalisti e politici che si sono schierati senza fare alcuno sforzo per comprendere le ragioni di chi si è opposto al progetto, quando ancora si poteva trovare una soluzione soddisfacente per tutti.

Proviamo ad immaginare cosa succederebbe se tutte le imprese industriali che si vogliono rilocalizzare in Toscana o aprire una fabbrica nella nostra regione agissero come la Hymer AG, la multinazionale tedesca che ha rilevato nel 2001 l'azienda: rifiutando di insediarsi nelle zone industriali esistenti, ma pretendendo di scegliere un'area agricola e ottenendo una variante ad hoc degli strumenti urbanistici.

Il nostro territorio sarebe disseminato di capannoni localizzati a casaccio, fuori dalle aree industriali (peraltro piene di stabilimenti dismessi e di lotti inutilizzati); con buona pace del paesaggio e ambiente che non solo sono beni di cui godono tutti, anche gli operai della Laika, ma fattori fondamentali dell'attrattività del territorio rispetto al capitale umano qualificato: i "talenti" necessari per lo sviluppo di produzioni innovative e ad alta intensità di conoscenza, l'unica chance per una modernizzazione della Toscana.

Chi sostiene qui e ora l'insediamento della Laika, dovrebbe essere consapevole che l'intero affare è stato mal condotto dal Comune di San Casciano e che si tratta di un pessimo esempio di gestione del territorio, da non ripetere. E invece no, si è scelto la strada di ridicolizzare gli oppositori, dipinti come difensori del paesaggio cartolina, utilizzando i più vieti e diseducativi slogan polemici. Un atteggiamento tanto più grave da parte dei politici il cui compito fondamentale è di comporre in una sintesi, si spera migliore, i diversi interessi e non di schierarsi acriticamente per una parte.

A meno che la Laika non sia utilizzata come una clava per colpire un avversario politico o presunto tale; tacciandolo addirittura del reato di non essere nato in Toscana (d'altronde come la multinazionale tedesca). Forse neanche il peggiore leghismo arriverebbe a tanto; ma si sa, il problema di buona parte della politica italiana, in questo caso locale, è innanzitutto un drammatico gap culturale.

Paolo Baldeschi ordinario di Pianificazione del Paesaggio

giovedì 20 ottobre 2011

L'ambiente o il salario, i rischi di un ricatto

di Paolo Baldeschi, Corriere Fiorentino, giovedì 20 ottobre 2011


Al punto in cui siamo giunti, in piena crisi economica, con la gente che perde il lavoro e deve pagare il mutuo per la casa, è quasi impossibile che si trovi una soluzione alla vicenda Laika che salvi salario e ambiente. Quando si ha la pictola alla tempia si deve mollare la borsa e se fossi nelle condizioni degli operai della Laika anch'io mi batterei per la costruzione del capannone senza ulteriori indugi.

Ma, tuttavia, sarei ben consapevole di essere sotto ricatto. E ciò, a maggior ragione deve valere per sindacalisti e politici che si sono schierati senza fare alcuno sforzo per comprendere le ragioni di chi si è opposto al progetto, quando ancora si poteva trovare una soluzione soddisfacente per tutti.

Proviamo ad immaginare cosa succederebbe se tutte le imprese industriali che si vogliono rilocalizzare in Toscana o aprire una fabbrica nella nostra regione agissero come la Hymer AG, la multinazionale tedesca che ha rilevato nel 2001 l'azienda: rifiutando di insediarsi nelle zone industriali esistenti, ma pretendendo di scegliere un'area agricola e ottenendo una variante ad hoc degli strumenti urbanistici.

Il nostro territorio sarebe disseminato di capannoni localizzati a casaccio, fuori dalle aree industriali (peraltro piene di stabilimenti dismessi e di lotti inutilizzati); con buona pace del paesaggio e ambiente che non solo sono beni di cui godono tutti, anche gli operai della Laika, ma fattori fondamentali dell'attrattività del territorio rispetto al capitale umano qualificato: i "talenti" necessari per lo sviluppo di produzioni innovative e ad alta intensità di conoscenza, l'unica chance per una modernizzazione della Toscana.

Chi sostiene qui e ora l'insediamento della Laika, dovrebbe essere consapevole che l'intero affare è stato mal condotto dal Comune di San Casciano e che si tratta di un pessimo esempio di gestione del territorio, da non ripetere. E invece no, si è scelto la strada di ridicolizzare gli oppositori, dipinti come difensori del paesaggio cartolina, utilizzando i più vieti e diseducativi slogan polemici. Un atteggiamento tanto più grave da parte dei politici il cui compito fondamentale è di comporre in una sintesi, si spera migliore, i diversi interessi e non di schierarsi acriticamente per una parte.

A meno che la Laika non sia utilizzata come una clava per colpire un avversario politico o presunto tale; tacciandolo addirittura del reato di non essere nato in Toscana (d'altronde come la multinazionale tedesca). Forse neanche il peggiore leghismo arriverebbe a tanto; ma si sa, il problema di buona parte della politica italiana, in questo caso locale, è innanzitutto un drammatico gap culturale.

Paolo Baldeschi ordinario di Pianificazione del Paesaggio

Laika, il sigillo di Rossi «Tutelati scavi e azienda»

Messaggio a Marson: c'è equilibrio, al di là delle singole opinioni

di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, giovedì 20 ottobre 2011


Sul nuovo stabilimento della Laika da 326 mila metri cubi, 300 metri di lunghezza per 100 a San Casciano Val di Pesa (località Ponterotto) e sullo spostamento dei reperti etruschi e romani rinvenuti, è arrivato anche l'ultimo sigillo. Quello del governatore Enrico Rossi. Come fosse una escalation di risposte alle perplessità sollevate da comitati, ambientalisti, dall'Italia dei Valori e in tempi non sospetti quando la pratica urbanistica si era appena conclusa o stava concludendosi dall'attuale assessore regionale Anna Marson. L'escalation contro «l'ambientalismo in cachemire che blocca lo sviluppo» era cominciato con la presidente di Confindustria Toscana Antonella Mansi. Poi il turno del segretario regionale della Cgil Alessio Gramolati («non ci convincono coloro che vedono la Toscana solo come terra del buon ritiro e non regione dove investire»), i volantinaggi dei lavoratori. E la reazione stizzita del presidente della Provincia Andrea Barducci alle parole di Marson («il salario non diventi un alibi per non entrare nel merito delle politiche pubbliche»).

Ieri il carico da novanta di Rossi che ha annunciato l'imminente firma del protocollo tra Regione, ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza, Comune e Laika per lo «spostamento, la tutela e la valorizzazione» dei reperti archeologici rinvenuti durante i primi lavori a Ponterotto: «Diamo soluzione positiva a un problema che ha suscitato discussioni più che legittime insieme a qualche polemica». Rossi ha ricostruito a grandi linee l'iter burocratico-urbanistico che ha portato Laika dagli scomodi e sparpagliati capannoni di Tavarnelle al maxistabilimento di San Casciano: «La scelta del terreno su cui edificare spettava al Comune. È stata presa legittimamente e non si torna indietro. Il nuovo stabilimento nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dal canto suo l'impresa si impegna a finanziare l'operazione di ricollocazione». La Regione, rivendica Rossi, ha sostenuto l'insediamento Laika. Ha messo 3,5 milioni di euro grazie ad un bando europeo che ne ha attivati 14 per la costruzione dello stabilimento. I lavori in tutto ne costeranno 25. Ma paesaggio, patrimonio storico-culturale e sviluppo a Ponterotto hanno trovato una sintesi? La soluzione migliore?

Per Comune e Laika ovviamente sì. Anche per il governatore che ha concluso il suo intervento con un messaggio mirato, indirizzato a chi in questi anni — Marson compresa — ha messo in discussione l'operazione: «Sarebbe stato un errore non prendere questa decisione. Anche alla luce di questo episodio resto convinto che lo sviluppo dell'attività manifatturiera e dell'occupazione, la tutela del paesaggio e dei beni in esso contenuti, lo sviluppo di agricoltura e turismo di qualità e il recupero al posto di nuove edificazioni non siano in conflitto. È su questo equilibrio che la Regione sta puntando per ripartire ed è questo il motore che tiene insieme la maggioranza di governo, al di là delle singole opinioni».

Caso Laika: tre donne contro lo “sviluppismo” della classe dirigente toscana

Il caso della ristrutturazione industriale dello stabilimento Laika di San Casciano, in provincia di Firenze, ha reso evidente come la classe dirigente toscana tutta (partiti, amministratori, industriali e sindacati, con il supporto di molta stampa) sia ormai avariata, incapace di fare i conti con la modernità, incredibilmente masochista nel non vedere le opportunità offerte dal superamento di una cultura sviluppista che tanti danni ha fatto nel secolo scorso e che ancora oggi vive e vegeta grazie a pallide caricature di Agnelli, Togliatti e Di Vittorio.

In questa pagina riportiamo le parole di tre donne: Lucia Carlesi, consigliera comunale a San Casciano e protagonista della vicenda; Anna Marson, assessore regionale all’urbanistica e al territorio; Ornella De Zordo, consigliera comunale a Firenze. Tutte e tre hanno un ruolo all’interno delle istituzioni e tutte e tre animano un dibattito culturale ineludibile, che, se svolto compiutamente, potrà offrire alla nostra regione, e non solo, una prospettiva futura in grado di rimettere al centro la persona e l’ecosistema in cui essa vive. A scapito, una volta tanto, del profitto e della rendita di pochi che, è il caso della Laika di San Casciano, trova, il sostegno – incredibile, se non fosse figlio del ricatto occupazionale – di chi raccoglie le briciole sotto al tavolo. (R.C.)


UNA VITTORIA DI PIRRO

di Lucia Carlesi
http://laboratorioperunaltrasancasciano.blogspot.com/


Quando la demagogia prevale sul confronto e sul rispetto, perde la democrazia. È quanto è successo durante la seduta del consiglio comunale di San Casciano del 29 settembre quando, tutti insieme, partiti di sinistra (ma questa definizione è ancora possibile?), di destra e lista civica, appoggiati dai dipendenti Laika giunti in gran numero, hanno “processato” il nostro gruppo Laboratorio per un’Altra San Casciano-Rifondazione Comunista che ha presentato un ordine del giorno per opporsi alla decisione presa dall’Amministrazione di rimuovere i reperti archeologici di Ponterotto. Facile intuire l’esito della discussione, viste le forze in campo. Ma siamo sicuri che non sia la vittoria di Pirro?

Ha prevalso la demagogia, appunto. Le nostre motivazioni di contrarietà al progetto sono state chiare e argomentate, dobbiamo constatare che ieri nell’aula consiliare nessuno ha saputo o voluto dare risposte concrete alle nostre obiezioni.

Noi abbiamo parlato di difesa dei beni comuni: l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio storico di una collettività si tutelano quando non si mettono in conflitto con la dignità del lavoro e i diritti dei lavoratori, quando si ha la capacità politica di gestire i processi economici e le dinamiche sociali di un territorio. Su questi temi non prendiamo lezioni da nessuno. Sul banco degli imputati mettiamo questa amministrazione che in dieci anni non ha saputo offrire una risposta concreta alle richieste sacrosante dei lavoratori. Nessuno può essere così ingenuo da credere che, se ancora non è stata posata la fatidica prima pietra del nuovo stabilimento, la colpa sia di “quattro ambientalisti”.

La nuova Laika sarebbe realizzata da tempo se fin da subito fosse stata scelta una localizzazione idonea. In realtà, cedendo al ricatto occupazionale, l’amministrazione ha intrapreso una faraginosa e complessa procedura urbanistica grazie alla quale l’impresa ha ottenuto la possibilità di costruire su terreni agricoli a Ponterotto: un’operazione di rendita immobiliare che, abbiamo sempre sostenuto, ci pare abbia avuto poco a che fare né con la presunta urgenza imprenditoriale, né con la salvaguardia dei posti di lavoro. Non ha insegnato niente la fallimentare esperienza Stianti a San Casciano? O lo stabilimento Laika a Sambuca ottenuto anche in quell’occasione con variante urbanistica ad hoc e mai utilizzato? Non è seguendo gli “appetiti” industriali che si tutelano i lavoratori, si può però fare demagogia e farlo credere.

Adesso, ancora una volta strumentalmente, si afferma che “sfrattare gli etruschi”, rimuovere dal sito i reperti emersi a Ponteretto, significherà contemporaneamente valorizzare i ritrovamenti e offrire ulteriori, concrete garanzie al mondo del lavoro.
Niente di più falso. In un momento di grave crisi nazionale e mondiale del settore nel quale è coinvolta pesantemente anche la multinazionale Hymer, costruire un gigantesco capannone, che sembra effettivamente sproporzionato rispetto alle previsioni produttive dell’azienda, non potrà dare nessuna certezza ai lavoratori. Si perderà invece l’autenticità di una testimonianza storica, trattando i resti della fattoria etrusca e della villa romana alla stregua di mattoncini Lego, come in questi giorni ha osservato autorevolmente il prof. Settis, commentando la vicenda. Per far questo l’amministrazione investe proprie risorse, fateci capire dov’è l’interesse pubblico dell’operazione.

Vorremmo anche una risposta ai dubbi sollevati sulla correttezza della delibera che la Giunta ha adottato, ove, tra l’altro, non viene dichiarato l’ammontare della spesa pluriennale che si dovrebbe sostenere e neanche a quali capitoli di bilancio viene imputata.

Di tutto ciò avremmo voluto discutere in consiglio comunale; purtroppo abbiamo soltanto assistito al triste spettacolo di un’amministrazione impegnata solamente a costruire un capro espiatorio (l’ambientalismo contrapposto a chi difende il “lavoro”) per scaricare le proprie responsabilità. Noi abbiamo offerto una chiave di lettura diversa della vicenda e come sempre abbiamo coerentemente rappresentato un’altra prospettiva e un’altra proposta politica che vede nella riconversione ecologica dell’economia, nella difesa dei beni comuni e nella tutela del territorio l’unica strada che abbiamo a disposizione per uscire da una crisi economica strutturale e dare risposte serie e concrete,nel tempo, al mondo del lavoro. Ed è così che esprimiamo la nostra solidarietà con i lavoratori Laika.

Ci crediamo e continueremo a sostenere con impegno queste proposte.

***

SI RIDICOLIZZA PER NON ENTRARE NEL MERITO DELLA QUESTIONE

di Anna Marson
http://www.regione.toscana.it/annamarson/index.html

Nelle ultime settimane, a partire dalla tribuna dell’assemblea regionale di Confindustria, e successivamente dalle pagine di molti giornali toscani, è stato più volte utilizzato lo slogan dell’«ambientalismo in cachemire che blocca lo sviluppo». Lo slogan è curioso, e farebbe quasi sorridere, oggi che il cachemire si vende anche all’Ipercoop e nel mercato dell’usato: dunque la cittadinanza attiva sulle questioni ambientali, che è piuttosto ampia e trasversale rispetto alle classi di reddito, veste comunque in cachemire.

In realtà non si può affatto sorriderne, perché esso sembra sottendere da parte di chi lo usa, oltre all’offesa o alla ridicolizzazione pubblica quale strumento per evitare di entrare nel merito delle questioni poste, l’equazione fra ambientalisti e percettori di rendite. Fra questi ultimi vi sarebbero anche i professori universitari, il cui stipendio in realtà dagli anni Cinquanta a oggi si è ridotto in termini reali svariate volte, scivolando ai minimi della dirigenza pubblica (per tacere di quella privata). Soggetti dunque cui negare il diritto di parola rispetto a progetti che promettono (nelle dichiarazioni di chi li propone) di produrre reddito.

L’esperienza maturata in questi anni evidenzia invece come siano proprio gli attori sociali, spesso fortemente compositi, che si attivano in prima persona per difendere la qualità dei luoghi in cui vivono, a mettere in questione le diverse rendite, troppo spesso rese possibili da accordi pubblico-privato e sinistra-destra che non mettono nel conto i costi collettivi di medio e lungo periodo, ma solo i ritorni elettorali e di altro genere (come molte indagini giudiziarie evidenziano), socializzando le perdite e privatizzando i profitti. Sono gli ambientalisti a bloccare lo sviluppo, o queste rendite da vero «cachemire di lusso»?

È comprensibile che gli imprenditori privati presentino le loro proposte, anche quelle speculative, come le migliori possibili. Inquieta invece che rappresentanti di istituzioni pubbliche, e di partiti cosiddetti progressisti, le accolgano entusiasticamente, rilanciandole con il refrain crescita eguale occupazione, evocando in modo sinistro la non così lontana — nel tempo e nello spazio — rinuncia all’ambiente e alla salute in cambio di un salario. Occupazione peraltro sempre più precaria e sottopagata, che rischia di essere un alibi per non entrare nel merito delle politiche pubbliche in questione, sempre più subordinate alle ragioni dell’economia finanziaria che ci ha portato all’attuale crisi.

In questa fase di crisi di sistema, caratterizzata da scenari molto incerti per quanto riguarda il nostro futuro, il territorio rappresenta nelle sue diverse prestazioni un bene collettivo assolutamente fondamentale. Chi toglie legittimità a quanti chiedono di comprendere chiaramente il saldo tra guadagni privati e interesse collettivo nelle operazioni di trasformazione del territorio, e di rinnovare così la politica nell’accezione autentica di cura del bene comune, apre la strada a una poco oculata svendita sia del territorio che della politica.

***

POCA TRASPARENZA IN UNA VICENDA CHE UNISCE DESTRA E SINISTRA

di Ornella De Zordo
http://www.perunaltracitta.org

Piena solidarietà della lista di cittadinanza ‘perUnaltracittà’ alla consigliera Lucia Carlesi di Laboratorio ‘Per un’altra San Casciano’, oggetto di violenti attacchi verbali nel corso della seduta di Consiglio comunale del 29 settembre. A provocare l’attacco, condiviso in modo bipartisan da destra e centrosinistra, è stato l’ordine del giorno da lei depositato in merito al ritrovamento dei reperti archeologici venuti alla luce a Ponterotto nel corso della costruzione del nuovo capannone della Laika Caravans.

In modo strumentale si è voluta attribuire a chi difende il territorio e il patrimonio culturale la responsabilità dei ritardi dello stabilimento Laika nella realizzazione di un progetto risalente ormai a 10 anni fa. Lucia Carlesi ha coraggiosamente affermato che la difesa di ambiente e patrimonio storico viene tutelata quando non è messa in conflitto con la dignità del lavoro e i diritti dei lavoratori, e ha esplicitamente attribuito la responsabilità di contrapporre ancora una volta ambiente e lavoro all’amministrazione comunale di San Casciano che in 10 anni non ha saputo dare una risposta concreta a questo problema.

Bastava trovare una localizzazione idonea all’insediamento della nuova Laika senza consentire l’operazione speculativa che ha consentito l’attuale insediamento a Ponterotto, terreno agricolo e ricco di reperti archeologici (si veda su questo archeopatacca.blogspot.com). E invece l’amministrazione di san Casciano non solo ha consentito un’operazione di rendita immobiliare della multinazionale ma ha investito proprie risorse senza neanche dichiarare l’impegno economico a cui dovrà far fronte per vari anni.

Sosteniamo quindi l’azione della consigliera Carlesi che ha richiesto senza farsi intimidire un altro modo di coniugare diritto al lavoro e diritto all’ambiente, e ha indicato un’altra modalità con cui le pubbliche amministrazioni devono lavorare in modo trasparente per l’interesse generale della collettività e non per il potente di turno.

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Far tornare le api a volare a San Casciano!

L’ape, il simbolo della nostra lista, richiama l’obiettivo di far tornare le api a volare a San Casciano. Un mondo senza api non è a misura d’uomo, è avvelenato e ostile alla vita. L’ape sarà anche il nostro modello di comportamento: le api sono laboriose, sociali, pacifiche e hanno bisogno di un ambiente pulito.

San Casciano Val di Pesa • Laboratorio per un’Altra San Casciano