lunedì 2 marzo 2009

I conti non tornano: l'inceneritore ASM di Brescia!

INCENERITORE ASM DI BRESCIA: I CONTI NON TORNANO

Un "vecchio" articolo del 2007 di Davide Ferrari su

http://www.studioarchidea.com/node/78


La ex municipalizzata ASM di Brescia, oggi gruppo quotato in borsa e, soprattutto dopo la recente e contestata fusione che dovrebbe concludersi entro fine anno, con l'AEM di Milano, uno dei principali operatori nazionali nel settore delle utilities, continua da anni ad elogiare ed incensare i suoi mega inceneritori, chiamandoli termovalorizzatori, quasi un termine linguistico potesse cambiare il senso della realtà.

Estrapolando i dati ufficiali (sottolineo ufficiali, visto le querele che oggidì piovono come mele marce ad ogni pie' sospinto) dal “Quaderno di sintesi n.54 dell'ASM di Brescia”, già dal 2001 si conoscono a chiare cifre, i dati riguardanti l'attività del locale bruciatore di rifiuti riferito all'anno 2000.

Il bilancio è presto fatto, visto che sono stati trattati 265.000 tonnellate di rifiuti, producendone di contro 58.000 di scorie, 3.000 di ceneri, 13.000 di polveri prima filtrate e poi portate all'estero, e dulcis in fundo 283.000 tonnellate di anidride carbonica (principale elemento concausa dei cosidetti gas serra), per un totale di 357.000 tonnellate di rifiuti.
Se la matematica, come insegnano sin dalle scuole inferiori, non è semplice opinione, il conto non torna, o meglio non torna per la collettività, in quanto l'output supera l'imput di ben 92.000 tonnellate.

“Impossibile, si tratta delle tue solite sparate” mi dice l'amico Mario; forse, ma se qualcuno leggendo la presente argomentazione, volesse correggerne eventuali scorrettezze, sarei il primo ad esserne felice. Ma non credo succederà...
Cercherò di seguito di spiegare ciò che è sotto gli occhi di tutti, celato dall'apparenza che quello che si brucia scompaia; nel modo il più esaustivo e chiaro, seppure stringato per logici motivi di spazio.
Innanzitutto alla base della termodinamica sta il presupposto fisico, elaborato sin dal 1700 da Lavosier che recita: “in natura, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Quindi i rifiuti bruciati non scompaiono nel nulla, semplicemente durante il processo di combustione e successivo raffreddamento, si trasformano chimicamente; rompendo i legami chimici originari generando reazioni che portano a molteplici nuovi composti di cui solo poche decine è possibile classificare, la maggior parte rimangono ad oggi del tutto sconosciuti (!).
Però tra le sostanze che ben si conoscono, visti gli attuali studi approfonditi in campo tossicologico, ci sono tra le altre diossina, piombo, mercurio, i cui effetti sulla salute non sono certo da sottovalutare, vista la loro altissima pericolosità per la salute umana.

Per quanto concerne poi la valutazione economica, la cosa diviene perlomeno bizzarra.
Infatti costruire un inceneritore, tra la realizzazione dell'opera in sé, lo smaltimento delle ceneri tossiche, la gestione e manutenzione, ed altre cosucce varie, l'investimento supererebbe di gran lunga l'utile.
Dove sta il trucco?
Semplice, il ricavo di un inceneritore grava sulle spalle dei cittadini sotto forma dei famigerati contributi statali a fondo perduto, delle entrate che ogni comune convenzionato versa per il conferimento dei rifiuti, e dulcis in fundo dalla vendita di energia elettrica e calore.


Sempre riprendendo i dati ufficiali L’ASM di Brescia affermava di aver teleriscaldato 30.000 cittadini, e di aver prodotto 39MWh di energia elettrica.
Male.
Si perché il calore profuso ha comportato l'utilizzo di metano sufficiente a riscaldare circa 20.000 famiglie, per non parlare dell'energia venduta, il cui costo dal 1999 è aumentato a dismisura e probabilmente continuerà a salire dopo la “liberalizzazione” del mercato, che in realtà più che libera concorrenza rischia di creare un regime di oligopolio con tutte le conseguenze del caso.

Oggi l’impianto di Brescia brucia almeno 3 volte più rifiuti che nel 2000...; per fortuna proprio di oggi la notizia che la terza linea dell'inceneritore è stata bloccata dalla UE, per la mancanza della Valutazione d'Impatto Ambientale (!) oltre che, fatto ancor più grave nella nostra sempre più fragile democrazia, non aver permesso da parte del ministero l'espressione di osservazioni da parte della società civile prima dell'autorizzazione.

Per finire mi sia permesso di riassumere la logica dei cosi detti termo utilizzatori con un a battuta, sia pur datata, ma che sembra calzi a puntino: “più si brucia, più si guadagna”, alla faccia della tanto raccomandata raccolta differenziata.

La storia delle cose di Annie Leonard


Realizzato dall'ex-attivista di Greenpeace Annie Leonard, il video illustra in modo semplice e chiaro i punti deboli del sistema consumistico. Annie Leonard dimostra come il "sistema lineare" del consumismo sia inattuabile in un pianeta dalle risorse limitate come il nostro.
Il video ha creato non poche polemiche negli Stati Uniti dove circa 7.000 scuole ne hanno ordinato il dvd per farlo vedere agli studenti.
L'analisi è dettagliata e spiega come la concatenazione di estrazione-lavorazione-distribuzione-consumo-smaltimento gravino sulle condizioni politico-economiche e sull'ambiente.

Comunicato stampa: area Testi, cementificio Sacci

La lista civica “Laboratorio per l’Alternativa”, costituitasi a San Casciano Val di Pesa nell’assemblea pubblica del 20 febbraio scorso, condivide le posizioni espresse dal Coordinamento delle Associazioni Ambientaliste del Chianti Fiorentino in merito alle ultime vicende che hanno visto coinvolta la società Sacci:

• Non mettiamo in discussione il cementificio, ma chiediamo che si adegui alle migliori tecnologie del settore.
• Per una gestione corretta del ciclo dei rifiuti, così come per la produzione di energia, esistono alternative che possono garantire occupazione ed allo stesso tempo meglio salvaguardare il territorio e la salute. Siamo perciò contrari alla centrale turbogas e alla filiera rifiuti Testi Falciani con il nuovo inceneritore, in quanto sono impianti che aggraverebbero la condizione ambientale.
• Riteniamo che il diritto al lavoro debba coesistere con la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini.
• Il futuro di questo territorio è legato anche economicamente alla salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

La scelta di insediare a Testi e Falciani il polo energia-rifiuti deve diventare uno degli elementi fondamentali di confronto e discussione tra la cittadinanza e nella campagna elettorale, perché scelte così determinanti e strategiche non possono essere delegate né a pochi amministratori né tantomeno ai dirigenti della società Sacci.

Come vincere la sfida dei rifiuti

Il conflitto tra la cultura della crescita e la cultura della sobrietà. Finchè vince la prima non c’è speranza.
Autore: Viale, Guido


Il problema dei rifiuti non può essere isolato dal suo contesto, cioè dalle produzioni e dai prodotti che li generano, dai modi del loro consumo. Alla luce del contesto il tema rifiuti si colloca all’interno di una contesa tra culture diverse in cui le posizioni dei contendenti si radicano entrambe nell’ambito della modernità; ma con esiti sempre più divergenti. Ritroviamo la stessa contrapposizione tanto sulle grandi questioni dell’umanità, come guerre o cambiamenti climatici, quanto in quelle minute della vita quotidiana – compresa la produzione di rifiuti – il cui effetto cumulativo decide il destino del pianeta

Da un lato abbiamo la cultura della crescita, affidata alla tecnica e al mercato, più o meno corretto con interventi “politici”, ma anch’essi di natura tecnica; non a caso chiamati sempre più spesso “manovre”. Qui, alle aspettative sullo sviluppo tecnologico viene affidato anche il rimedio ai “danni collaterali” prodotti dalla tecnica: alla superiorità nella tecnologia bellica il compito di garantire l’ordine mondiale messo in forse dalla disseminazione di armi micidiali; all’energia nucleare, alla cattura del carbonio, all’idrogeno, il compito di neutralizzare i cambiamenti climatici provocati dai combustibili fossili, il cui utilizzo non deve conoscere tregua per non ostacolare la crescita. L’assunto è semplice: la tecnologia ci ha dato il benessere; la tecnologia rimedierà ai suoi danni collaterali.

Nella vita quotidiana la cultura della crescita è promozione del consumo per il consumo; del consumo per mandare avanti la macchina produttiva; del consumo per sostenere occupazione e redditi. Consumo di beni sempre più inutili mentre miliardi di uomini mancano del minimo necessario. Il “danno collaterale” del consumo è costituito dai rifiuti, perché tutto ciò che viene prodotto è destinato a trasformarsi in rifiuto in un lasso di tempo sempre più breve. Quindi, tanto vale produrre direttamente rifiuti: l’usa-e-getta (nel cui novero rientrano tutti gli imballaggi “a perdere”) non è altro che fabbricazione di rifiuti destinati a qualche effimera funzione per il tempo più breve possibile.

Ma la cultura della crescita ha sempre una “tecnologia” pronta per rimediare a tutto: Per i rifiuti, prima c’era la discarica, più o meno “controllata”; poi l’inceneritore (il sogno di “mandare in fumo” tutto ciò che non ci serve); poi il “termovalorizzatore” (la produzione di energia più costosa mai comparsa sulla Terra: il termovalorizzatore manda in fumo con rendimenti energetici infimi non solo quello che brucia, ma anche tutta l’energia consumata per produrre i materiali che usa come combustibile e che potrebbero invece venir riciclati); infine il “ciclo integrato” dei rifiuti, inframmettendo tra pattumiera e inceneritore altre macchine per separare il secco dall’umido e “un po’” di raccolta differenziata; ma non troppa; altrimenti il termovalorizzatore si spegne.

Il secondo contendente di questa contrapposizione è la cultura della sobrietà. Non è organizzata, né sponsorizzata, né roboante; ma in qualche modo si radica in ciascuno di noi quando realizziamo che la rincorsa ai consumi è soprattutto una corsa alla produzione di rifiuti che rende tutti più poveri e intasa il mondo. Anche la cultura della sobrietà è figlia della modernità: non è frutto della penuria, della nostalgia per il passato o di una volontà di espiazione; bensì di saperi che ci guidano a usare le risorse in modo ragionevole. Non ha inventato macchine volanti, ma il deltaplano, che permette di realizzare il sogno di Icaro sfruttando i movimenti dell’aria; o la bicicletta, che moltiplica il rendimento dello sforzo che si fa per camminare; o il trasporto flessibile che combina velocità, comodità e risparmio di spazio, di risorse e di energia. Non ha realizzato la fusione a freddo – la pietra filosofale che trasformava il piombo in oro e oggi dovrebbe trasformare l’acqua in idrogeno – ma i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, che possono fornire all’intero pianeta tanta energia quanta ne basta per una vita moderna e agevole. Ma solo in un quadro di contenimento e perequazione nell’utilizzo delle risorse.

Meno consumi producono meno rifiuti; ma a ridurre la produzione di rifiuti sarà soprattutto quello che si consuma e il modo in cui lo si fa: le nostre scelte di acquisto. Cioè: meno imballaggi superflui (oggi sono il 40 per cento dei rifiuti urbani in peso e il 70-80 per cento in volume), cominciando da bottiglie e flaconi a rendere cauzionati; meno prodotti usa-e-getta (un altro 10 per cento): l’usa-e-getta ha sostituito per una frazione di secolo prodotti che prima si usavano fino alla consunzione; ma oggi ci sono sostituti dei prodotti usa-e-getta che costano e inquinano meno e sono più comodi e igienici di tutti i loro predecessori: nuovi pannolini lavabili o lavastoviglie che evitano il ricorso a piatti e bicchieri di plastica nelle mense. Più prodotti venduti sfusi (“alla spina”), a partire dai detersivi; meno sprechi di avanzi alimentari, per lo più frutto di una spesa fatta senza programma, come ricordava pochi giorni fa Carlo Petrini; più compostaggio domestico dei rifiuti organici (ovunque si disponga di spazi adeguati, e lo può essere anche un balcone); adozione di prodotti tecnologici modulari (computer, hi-fi, cellulari, elettrodomestici), in modo che per adeguarli ai progressi della tecnologia non sia necessario cambiare tutta l’attrezzatura, ma solo le componenti logore od obsolete; una moderna regolazione e incentivazione del mercato dell’usato, per non mandare in discarica o in fumo quello che milioni di persone sono ancora disposte a usare. E poi, ma solo poi, raccolta differenziata capillare porta-a-porta, responsabilizzando gli addetti perché intrattengano un rapporto diretto con gli utenti; impianti decentrati di compostaggio e di recupero dei materiali; incentivi agli acquisti ecologici (green procurement) per enti pubblici e imprese, per fornire un mercato ai materiali riciclati.

Sono cose semplici, alla portata di cittadini, enti locali e imprese grandi o piccole, ma tanto più urgenti, anche ricorrendo a misure straordinarie, quanto maggiore è l’emergenza rifiuti che soffoca un territorio. Intervenire alla fonte, in base alla gerarchia delle priorità indicata oltre trent’anni fa da Ocse ed Europa: riusare, ridurre, riciclare, e poi smaltire – “termovalorizzatore” e discarica – solo quello che rimane. Ma se si fa tutto ciò, che cosa resta da bruciare in un “termovalorizzatore”? Quasi niente: non l’acqua (60-70 per cento) contenuta nel residuo organico sfuggito alla raccolta differenziata; non la carta talmente bagnata da non poter essere conferita insieme a quella riciclabile; non il vetro e le lattine che invece di bruciare assorbono calore. Ma neanche quel poco di plastica che ne resta dopo una buona raccolta differenziata (che al 2012, per decisione coincidente – caso quasi unico – degli ultimi governi sia di destra che di sinistra, dovrà raggiungere l’obiettivo del 65 per cento). Perché la plastica è fatta con il petrolio e non potrà più essere assimilata a una fonte di energia rinnovabile e fruire di quegli incentivi che in passato hanno fatto ricchi i gestori degli inceneritori – primo tra tutti quello famosissimo di Brescia – a spese dei fondi pagati da tutti noi per promuovere l’energia del sole, del vento, dei residui dei boschi e delle colture bioenergetiche.

E allora? Allora, anche nel campo dei rifiuti, la cultura della sobrietà ha soluzioni, anche tecnologicamente molto sofisticate, e tutte già sperimentate, per raggiungere risultati che la cultura della crescita non riuscirà mai a conseguire, immobilizzata com’è in attesa di inceneritori che sarà sempre più difficile e costoso realizzare e soprattutto far funzionare senza incentivi (negli Stati Uniti non se ne costruiscono più da 15 anni, mentre in molte città del Nord America la raccolta differenziata ha raggiunto il 60 per cento in poco più di un anno). La crisi drammatica della Campania deve essere l’occasione per un ripensamento profondo e generale su queste alternative.

Articolo: Eddyburg
 

Far tornare le api a volare a San Casciano!

L’ape, il simbolo della nostra lista, richiama l’obiettivo di far tornare le api a volare a San Casciano. Un mondo senza api non è a misura d’uomo, è avvelenato e ostile alla vita. L’ape sarà anche il nostro modello di comportamento: le api sono laboriose, sociali, pacifiche e hanno bisogno di un ambiente pulito.

San Casciano Val di Pesa • Laboratorio per un’Altra San Casciano